martedì 11 ottobre 2011

Il computer si emoziona e pensa: il chip cognitivo

Un droghiere di New York sistema i prodotti sugli scaffali: indossa dei guanti, che sembrano dei comuni guanti igienici, in realtà sono dei pc indossabili che attraverso sensori incorporati consentono di monitorare l’aspetto, il colore, l’odore, la consistenza e la temperatura di ogni confezione per individuare i cibi guasti o contaminati.

Il chip Neurale
Nello stesso momento, all’altra parte del globo, sulle rive dello Yangtze, in Cina, un sistema di computer controlla l’approvvigionamento idrico delle diga delle Tre gole, registrando temperatura, pressione, altezza d’onda, acustica e marea, pronto a emettere allarmi se l’insieme delle informazioni fa scattare la paura che possa verificarsi uno tsunami.

Uno scenario avveniristico ma non fantascientifico: è in questa direzione che si stanno infatti muovendo gli esperimenti legati alla realizzazione dell’Internet delle cose, ovvero una rete infinita gettata sul globo che così si accinge a diventare un computer planetario. Un computer fatto da piccoli sensori disseminati nell’ambiente, incorporati negli oggetti della vita quotidiana, che rimandano segnali attraverso terminali oggi in uso, table, pc portatili, smartphone, e poi via satellite fino a creare un network intelligente sospeso nell’etere.

Tutto questo è reso possibile dalla nuova generazione di computer, i computer cognitivi, che ben poco ormai hanno a che fare con il computer tradizionalmente inteso. Il computer cognitivo è pur sempre una macchina, non contiene elementi biologici che costituiscono la base della mente umana ma ha un motore rivoluzionario di chip di calcolo neurosinaptico, ricreano i fenomeni tra i neuroni basati su potenziali d’azione e le sinapsi nei sistemi biologici, attraverso algoritmi e circuiti digitali di silicio. Hanno, insomma, un nucleo “pensante”, si tenta in poche parole di emulare il cervello umano nelle sue funzioni specifiche: ovvero la capacità di interagire con l’esterno, di apprendere dall’esterno, di sviluppare nuova intelligenza. Cosa più facile a dirsi che a farsi. La complessità del cervello umano è ineguagliabile. Negli anni 50, agli albori della Scienza dell’intelligenza artificiale, il paradigma era completamente ribaltato: allora si pensava che il computer fosse più perfetto del cervello umano.

Poi, nel corso del tempo si è capito che una macchina- ma anche un uomo- opportunamente programmata può arrivare a parlare perfettamente cinese, senza capire un’acca di quello che dice ed ascolta. Programmi, appunto, puri segni svuotati di ogni significato come scrive John R. Searle in Menti, Cervelli e Programmi, che nel 1980 è stato una pietra miliare nella cosiddetta seconda rivoluzione cognitiva. Oggi la cibernetica ha preso tutta un’altra strada. Negli stabilimenti Ibm di Fishkill, per esempio, sono stati realizzati chip sperimentali di nuova generazione, oggi in fase di test nei Laboratori di Yorktown Heights e San Jose progettati per emulare la capacità di percezione, azione e cognizione del cervello umano. Big Blue e i partner accademici hanno ricevuto un finanziamento di 21 milioni dollari dalla Darpa, Defense Advanced Reserarch Projects Agency per la fase 2 del progetto SyNapse. L’obiettivo è quello di creare un sistema in grado non solo di analizzare immediatamente le informazioni complesse ma di funzioni più complesse, come navigazione, memoria associativa, riconoscimento, classificazione.

La mente umana ha ripreso il suo ruolo centrale, è il modello. E’ questa la nuova frontiera hi-tech che vede uniti i big dell’industria come le università più prestigiose, dal Senseable lab del Mit fino ad Harvard. E in questo scenario profondamente mutato, i computer, le macchine, si estendono nello sforzo estremo di somigliare all’uomo: vogliono percepire, sentire, parlare, persino imparare. Il caso emblematico è quello di Watson, ultimo nato della famiglia Ibm: computer dalla potenza di elaborazione impressionante, che a Jeopardy!, il gioco a quiz più famoso degli Usa, è stato in grado di intendere le domande e di rispondere in modo pertinente. Watson ha vinto, una vittoria emblematica, che è servita solo a saggiare i risultati raggiunti dalla ricerca. L’obiettivo, infatti, non è giocare, ma operare come estensione dell’uomo per moltiplicare le capacità di gestione delle conoscenze in qualsiasi campo: aziendale, dell’amministrazione pubblica, della sicurezza, della vita educativa. Sul numero del 17 maggio di Technology Review, rivista online del Mit di Boston, si dà notizia di un esperimento condotto dall’Ecole Politytechnique Fédérale di Losanna, finalizzato a provare l’esistenza dell’altruismo dal punto di vista evoluzionistico.

Per farlo Laurent Keller, biologo, e Markus Waibel, cyber-ingegnere, hanno realizzato dei robot di pochi centimetri resi indipendenti da due rotelle, dotati di un “sistema nervoso” basato su una serie di sensori e una videocamera. La loro intelligenza si basa su un genoma digitale. Il risultato? Nel giro di 500 generazioni questi robot riescono a creare una mappa sociale. Come la specie umana, anche i computer possono migliorare nel corso del tempo. Una svolta non solo teorica, ma con impatti sul piano industriale e sociale. L’équipe svizzera, infatti, attraverso questo esperimento ha costruito un algoritmo finalizzato alla costruzione di macchinari per il soccorso civile e altre attività di pronto intervento basate sul Gps – il sistema di localizzazione satellitare geo-spaziale nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione europea.

Fonte
da Paola Jadeluca

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