giovedì 18 ottobre 2012

Il bambino come Cristo

Maria Montessori è stata una pedagogista, filosofa, medico, scienziata, educatrice e volontaria italiana, nota per il metodo che prende il suo nome, usato in migliaia di scuole materne, elementari, medie e superiori in tutto il mondo.

Innocenti rassegnati.
A spingere Montessori verso lo studio dell’educazione dei bambini frenastenici c’è una preoccupazione umanitaria: quella di lavorare per l’emancipazione, la crescita, il miglioramento di soggetti che sono al margine dell’umanità, relagati tradizionalmente nei manicomi e considerati irrecuperabili. C’è una continuità tra la sua 
lotta politico-culturale in favore delle donne e la sua ricerca scientifica nel campo dell’educazione dei bambini frenastenici. In entrambi i casi si tratta di un lavoro per la liberazione e l’integrazione nella società di soggetti esclusi. Ma sono soltanto le donne ed i bambini frenastenici in questa condizione di esclusione? Ben presto Montessori si rende conto che il soggetto escluso e marginalizzato per eccellenza nella società è il bambino; non solo quello frenastenico, ma anche quello in salute fisica e mentale.

La società ha fatto progressi enormi nel riconoscimento dei diritti personali degli adulti, ma non si può dire lo stesso dei diritti del bambino. In nome della stessa educazione si sono compiute e si compiono violenze sui bambini. È normale rivolgersi al bambino con durezza e sottoporlo a castighi; se è vero che le punizioni corporali sono sempre meno accettate, è anche vero che spesso i genitori si credono in dovere di dare ai figli qualche schiaffo. “Eppure – scrive Montessori nel Segreto dell’infanzia – si sono aboliti i castighi corporali per gli adulti, perché avviliscono la dignità umana e sono una vergogna sociale. Ma esiste villania maggiore dell’offendere e battere un bambino? È evidente che la coscienza dell’umanità è sommersa in un sonno profondo”.
Luogo di violenza per il bambino è anche la scuola. Le scuole, i luoghi in cui si compie il lavoro delicatissimo e cruciale dell’educazione, sono edifici squallidi, pensati e progettati dal punto di vista dell’adulto, sì che un bambino vi si perde. Con indosso una uniforme (in alcune scuole italiane è ancora in uso), il bambino dovrà sedere ad un banco per ore ed ore, immobile, in potere della maestra, costretta a sottomettersi all’insegnamento, più che ad apprendere realmente. Tale è la sua condizione, che Montessori lo paragona al Cristo: il banco è come la croce, che costringe a subire immobile il supplizio. Ma come il Cristo il bambino risorge: “Come ha detto Emerson, il bambino è l’eterno Messia, che sempre ritorna fra gli uomini decaduti, per condurli nel regno dei Cieli”.
Questo paragone non sembri eccessivo. Per Montessori è nel bambino che risiede ogni possibilità di cambiamento e di riscatto per l’umanità. L’unica possibilità di avere una umanità felice, libera dal flagello della violenza e della guerra, risiede nel bambino, nella sua possibilità di prendere una direzione diversa rispetto a quella che è stata presa dai suoi genitori e dai suoi insegnanti. Come è evidente, l’educazione non deve dunque replicare nel bambino l’adulto, riprodurre il mondo esistente con i suoi limiti, ma deve essere occasione per una trasformazione e liberazione radicale.

Perché ciò sia possibile, occorre da un lato il senso profondo del rispetto verso il bambino e la coscienza dei suoi diritti, e dall’altro lo sguardo scientifico, che consente di liberare l’infanzia dal peso di superstizioni, errate credenze, suggestioni apparentemente rispettose dell’infanzia, e che in realtà l’alienano. Quando non è costretto a stare immobile in un banco, il bambino viene fatto vivere in un mondo di balocchi, di fantasie, di fiabe, di immaginazione. Si ritiene che questo sia il mondo proprio del bambino. Nulla di più falso, per Montessori. Il bambino, quando non si trova in condizioni di alienazione, non si perde in fantasie, ma si concentra e lavora in modo disciplinato ed attento. Affinché emerga questo aspetto dell’infanzia, occorre che al bambino venga offerto un ambiente adatto, che non abbia nulla della violenza strutturale delle scuole tradizionali e gli dia la possibilità di fare esperienze creative autonome.

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