lunedì 30 maggio 2011

Elogio del Cyborg

Borg Queen
Il programma di ricerca umana (Human Research Program) della NASA è tutto dedicato alla riduzione dei rischi e studia modi per combattere l’affaticamento e mitigare i danni da radiazioni, due tra i possibili problemi legati ai viaggi nello spazio. Ma come starebbero le cose se fosse stato sviluppato un tipo di programma diverso? Dopo tutto, negli anni Sessanta, l’agenzia studiava la questione, molto più ampia, di come rendere l’essere umano adatto allo spazio. Il concetto era emerso in un articolo del 1960 di Manfred Clynes e Nathan Kline intitolato “Cyborgs and Space,” dove gli autori sostenevano che l’opzione di ricreare l’ambiente della Terra a bordo di un veicolo spaziale non era efficace quanto quella di adattare, almeno parzialmente, un essere umano alle condizioni che si sarebbe trovato ad affrontare.
L’idea era piuttosto audace per quei tempi, come si vede da questo estratto (il testo evidenziato è in corsivo nell’originale):
L’operazione di adattare il corpo umano a un ambiente a sua scelta, di qualsiasi tipo esso sia, sarebbe facilitata da una maggiore conoscenza del funzionamento omeostatico, i cui aspetti cibernetici solo adesso cominciano ad essere compresi e studiati. In passato, è stata l’evoluzione a determinare la modificazione delle funzioni fisiologiche per l’adattamento ad ambienti diversi. Da ora in poi sarà possibile raggiungere lo stesso obiettivo in qualche misura senza alterazioni del patrimonio ereditario attraverso opportune modificazioni biochimiche, fisiologiche ed elettroniche dell’attuale modus vivendi dell’essere umano.

Alterare la fisiologia per adattarsi allo spazio
Robocop
Da qui l’idea di alterare la biologia (e, indubbiamente, la psicologia) umana per adattarla a questo ambiente decisamente estremo. La stessa che lo storico della NASA Roger Launius (Smithsonian National Air and Space Museum) esamina in un recente articolo in cui offre la sua personale esperienza di uso di dispositivi medici per mantenersi in vita come esempio di una trasformazione di questo tipo. Launius è un cyborg? Lui si definisce tale, forse un po’ per scherzo, ma certamente anche per dimostrare che mentre gli umani non possono sopravvivere nello spazio per più di un minuto e mezzo senza un aiuto molto consistente, le missioni nello spazio profondo richiederanno una serie di adattamenti che ci consentiranno di resistere a viaggi tanto lunghi.
Questo articolo di Astrobiology Magazine si inserisce nella discussione riportando la convinzione di Stephen Hawking che il futuro a lungo termine delle specie umane è nello spazio. Se e quando individueremo un qualche modo per raggiungere le stelle più vicine, la colonizzazione dei pianeti che vi troveremo sarà estremamente impegnativa:
Launius afferma che, perché gli uomini possano colonizzare altri pianeti, potrebbe essere necessario uno “stadio successivo dell’evoluzione umana” per creare una presenza umana distinta in cui le famiglie vivranno e moriranno su quel pianeta. In altri termini non sarebbe esattamente l’Homo sapiens sapiens quello che abiterebbe nelle colonie, ma piuttosto un cyborg— un organismo vivente con una combinazione di parti organiche ed elettromeccaniche— o, più semplicemente, in parte uomo e in parte macchina.
E lo stesso Launius fa notare il grande numero di persone con evidenti ritocchi come pacemaker e impianti acustici cocleari che incontriamo tutti i giorni per la strada. Quante persone sopravvivono proprio grazie agli interventi tecnologici realizzati nel loro corpo? Il concetto di cyborg, pertanto, dovrebbe in realtà essere meno inquietante di quello che sembra, ma ho l’impressione che la reazione del pubblico nei confronti di un essere umano modificato quasi completamente per poter sopravvivere in una biosfera aliena sarebbe assai diversa. Un essere del genere solleva problemi etici che ci fanno pensare più al Frankenstein di Mary Shelley che a 2001: Odissea nello spazio.

Bioingegnerizzazione: un passo troppo azzardato?
Occhio Cyborg
E’ stato il testo di Clynes e Kline che ha usato per la prima volta il termine ‘cyborg,’ seguito nel 1963 dalla NASA con ‘The Cyborg Study: Engineering Man for Space’, in cui si discutevano temi quali la sostituzione di organi e l’ibernazione per i viaggi nello spazio profondo per poi concludere che le tecnologie necessarie erano troppo avanzate per quei tempi. Però, mentre navigavo in cerca di notizie su questi argomenti, ho trovato per caso un articolo precedente nel sito dell’Astrobiology Magazine:
Lo sviluppo degli organi artificiali non ha fatto molti progressi rispetto ai tempi in cui la NASA ha commissionato il suo studio sui cyborg. Benché il cuore e i polmoni artificiali siano ora più compatti e meglio funzionanti, vengono usati soprattutto come sostituti temporanei per aiutare i pazienti a sopravvivere in attesa degli organi di un donatore compatibile. I reni artificiali (le macchine per la dialisi) hanno creato maggior difficoltà, in parte a causa della necessità di filtrare grandi quantità di fluido. Negli anni 60, questi macchinari avevano le dimensioni di un frigorifero.

Insomma c’è ancora molta strada da fare prima di poter raggiungere il tipo di bioingegnerizzazione che questo tipo di adattamento richiederebbe. Ma il lavoro non si ferma, anzi va sempre più veloce:

Oggi i congegni di piccole dimensioni non sono ancora impiantabili, ma c’è un prototipo recente che può essere indossato come una cintura porta attrezzi molto voluminosa. Vengono normalmente sviluppati organi artificiali come ossa, sangue, pelle occhi e addirittura nasi, e ciascuno di essi potrebbe aiutare l’uomo a sopportare le condizioni dello spazio. Fintanto che l’entità risultante mantiene un cervello umano, può essere considerata un cyborg piuttosto che un androide (un robot dall’aspetto umano).

Etica cyborg
Da un punto di vista etico dobbiamo anche esaminare i vantaggi della bioingegnerizzazione di tipo cyborg rispetto ad altre possibilità. Supponendo che finalmente trovassimo un pianeta in grado di supportare la vita umana, che riuscissimo a raggiungerlo e che non vi abitasse nessun’altra specie senziente, quale sarebbe la scelta moralmente preferibile: 1) terraformare l’intero mondo per adeguarlo al nostro stile di vita; o 2) bioingegnerizzare i nostri coloni così da adattarli all’ambiente in cui si trovano?
Il problema potrebbe essere risolto in un modo diverso. E’ sempre possibile che il viaggio interstellare si riveli così insidioso e lungo per gli esseri biologici che la nostra espansione nella galassia dovrà essere gestita dall’intelligenza artificiale. Torna di nuovo in mente il libro di Paul Davies The Eerie Silence (L’inquietante silenzio): “Penso che sia molto probabile – anzi inevitabile – che l’intelligenza biologica sia solo un fenomeno transitorio, una fase passeggera nell’evoluzione dell’universo. Se mai dovessimo incontrare intelligenze extraterrestri, sono quasi certo che sarebbero di natura post-biologica.”
Prima di concludere non posso fare a meno di ricordare il parere su questo tema che Freeman Dyson ha esposto in Disturbing the Universe (New York: Harper & Row, 1979), p. 234:

A lungo termine, l’unica soluzione al problema della diversità è, a mio avviso, l’espansione del genere umano nell’universo attraverso la tecnologia verde. La tecnologia verde ci spinge nella direzione giusta, opposta al Sole e verso gli asteroidi e i pianeti giganti e oltre, dove lo spazio è illimitato e le frontiere aperte all’infinito. La tecnologia verde significa non vivere di cose belle e pronte ma adattare le nostre piante, i nostri animali e noi stessi per vivere allo stato naturale nell’universo così come lo troviamo. I nomadi della Mongolia hanno sviluppato una pelle coriacea e occhi a fessura per sopportare i freddi venti dell’Asia. Se alcuni dei nostri discendenti nascessero con una pelle ancora più resistente e occhi ancora più sottili potrebbero affrontare a volto scoperto i venti di Marte. La domanda che deciderà il nostro destino non è se ci espanderemo nello spazio, ma se saremo una sola specie o un milione. Un milione di specie non esauriranno le nicchie ecologiche che attendono l’arrivo dell’intelligenza.


Fonte: Il Tredicesimo Cavaliere

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