venerdì 1 luglio 2011

Indio, Europio, Tellurio il nuovo oro nell'età del web

Erano gli elementi meno conosciuti della tavola periodica di Mendeleev ora sono indispensabili per fare pc e cellulari. E capaci di scatenare una guerra commerciale tra America, Europa e Cina.


Erbio, Z=68
Possibile che, adesso, bisogna preoccuparsi anche di elementi come il tellurio e il neodimio? Anzi, possibile che, non diciamo la nostra civiltà, ma il nostro stile di vita dipenda dall'erbio e dall'afnio? Di più: possibile che le speranze della "nuova economia verde" siano appese alla disponibilità di indio ed europio? Infine: possibile che al Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, stia per scatenarsi una guerra di America ed Europa contro Cina per assicurarsi il disprosio e i suoi fratelli? La risposta è sì a tutt'e quattro le domande. Una dozzina di elementi dagli angoli più remoti e oscuri della Tavola periodica di Mendeleev è diventata, nel giro di pochi anni, un pilastro cruciale dell'economia moderna e, ancor più, del suo futuro. Il ministero dell'Energia americano ha lanciato l'allarme. Entro il 2015 rischiamo di rimanere a secco di molti di loro. Per esempio, l'indio. Prima di dire "e chi se ne frega?", riflettete bene. Con poco indio, potreste essere costretti a scegliere: è più importante lo smartphone o il pannello fotovoltaico? È improbabile che li abbiate mai sentiti nominare, ma è altrettanto improbabile che non passiate buona parte del giorno utilizzandoli.

Pigiate il bottone della luce: la lampadina salva-energia illumina la stanza in virtù del rivestimento interno di lantanio, cerio, europio e terbio. Un'occhiata alla tv? Se non è in bianco e nero dovete ringraziare l'europio (dà il rosso e il blu), il terbio (giallo e verde)
con la collaborazione dell'ittrio. Niente in tv, preferite la Rete? Il vostro personal computer è così sottile e leggero, grazie al neodimio per i magneti, il tantalio per conservare energia, il disprosio per l'hard disk. E le tonnellate di bit che state ricevendo le dovete soprattutto all'erbio che accelera le comunicazioni via fibra ottica.

Sta squillando lo smartphone. Finora, era sulla scrivania, la vaga luminescenza dello stand-by assicurata dall'europio. Chiudete la comunicazione. Adesso siete voi che volete fare una telefonata. Toccate lo schermo: il touchscreen è reso possibile dall'indio, che è trasparente e, contemporaneamente, conduce l'elettricità. E, se non pesa due chili, è perché c'è l'afnio per chip sempre più piccoli e il tantalio per immagazzinare l'energia. Decidete di fumare una sigaretta. Fate scattare l'accendino: la scintilla che accende la fiamma è assicurata da lantanio e cerio. Ma, forse, non dovreste fumare: sullo scaffale c'è l'ultimo scan che avete fatto, grazie al tecnezio, radioattivo solo per qualche ora, e magari dice che i vostri polmoni non sono in grandissima forma.
Ma non finisce qui. Basta sporgersi appena un poco più avanti e gli stessi oscuri elementi tornano in primo piano. Per caso, l'elettricità che state usando ha origine eolica? Facile che le turbine funzionino grazie ai magneti con neodimio o disprosio. Oppure, è il sole che fa girare lavatrice e lavapiatti? Tellurio e indio sono cruciali per i pannelli fotovoltaici di nuova generazione, più leggeri e sottili di quelli tradizionali al silicio. Se poi avete anche un'auto elettrica, è probabile che le batterie funzionino grazie a neodimio, lantanio e cerio.

In generale, questi elementi vanno sotto il nome di "terre rare", anche se non sono, di fatto, così rare, nella crosta terrestre. Il ministero Usa dell'Energia ritiene che le disponibilità di erbio, tellurio (che pure, in sé, è più raro dell'oro), afnio, tantalio, tecnezio, lantanio e cerio non siano preoccupanti, rispetto alla domanda attesa. L'allarme rosso suona per indio, disprosio, neodimio, europio, terbio e ittrio, per ognuno dei quali la domanda supererà l'offerta nel giro di tre-quattro anni (per l'ittrio è avvenuto l'anno scorso). Il problema non è che non c'è abbastanza indio o europio sotto terra, ma che non sappiamo dove sia. Finora, questi elementi sono stati per lo più ricavati come sottoprodotti dell'estrazione di altri minerali, come il rame o lo zinco. È il boom della tecnologia degli ultimi 10-15 anni che li ha resi, improvvisamente, importanti. Adesso, si tratta di individuare i giacimenti e scavare le miniere, operazioni che possono richiedere più di dieci anni, troppo in là per la stretta che sta per arrivare.

Ma come abbiamo fatto fino ad adesso? Grazie alla Cina. Il motivo dello scarso entusiasmo occidentale per miniere di indio e tantalio è anche l'impatto ecologico della lavorazione di questi metalli. Spesso, infatti, si trovano in vene che contengono anche materiali radioattivi, come il torio o l'uranio, che richiedono speciali e costose salvaguardie. I cinesi hanno avuto così via libera, spesso con estrazioni clandestine ed illegali, fino ad occupare il 90 per cento del mercato internazionale delle terre rare. Da qualche anno, tuttavia, i cinesi stanno drasticamente limitando le esportazioni, sia perché stanno chiudendo le miniere ecologicamente più pericolose, sia perché le loro stesse industrie richiedono sempre più terre rare. L'anno scorso, Pechino ha tagliato il suo export del 40 per cento e aumentato le scorte interne. Quest'anno, nel primo trimestre, la più grossa azienda esportatrice cinese ha venduto solo mille tonnellate di terre rare, contro una media annuale, in passato, di 50 mila tonnellate. Il risultato è una esplosione dei prezzi, che si è accelerata nelle ultime settimane: il costo del neodimio è salito del 74 per cento, quello del terbio del 128 per cento, il disprosio del 137 per cento, l'europio del 180 per cento, dal 25 maggio ad oggi. L'impatto che questi aumenti stanno avendo sull'industria hi-tech occidentale avrebbe spinto Stati Uniti e Unione europea a minacciare uno scontro aperto nel Wto, accusando la Cina di favorire, con le restrizioni alle esportazioni, le aziende nazionali.

Un'altra via per allentare la stretta sulle forniture di terre rare ci sarebbe: il riciclaggio dei materiali contenuti nei gadget usati. Ma, secondo i calcoli dell'Onu, oggi solo l'1 per cento di questi elementi cruciali per la moderna tecnologia viene riciclato e riutilizzato.
Fonte: La Repubblica

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