giovedì 29 settembre 2011

La formula del mondo: un algoritmo

Il protagonista di “L’ indice della paura”, ultimo romanzo dello scrittore inglese Robert Harris, autore di bestseller come “Fatherland” e “Il ghostwriter”? Un algoritmo. Lo strumento che ha spinto Standard & Poor’s a declassare il rating dell’Italia? Un algoritmo. La chiave del successo di Google, il motore di ricerca più cliccato del pianeta? Ancora un algoritmo.


Dalle previsioni meteorologiche allo shopping, dai trasporti alla finanza, dal marketing alle comunicazioni, senza dimenticare ovviamente l’informatica, lo troviamo ovunque: un’icona o forse una cura per questo nostro tempo di incertezze.
Eppure molti neppure sanno che cosa sia esattamente, oppure se lo sono dimenticato dall’epoca in cui facevano algebra a scuola.
Una consultazione del dizionario fornisce questa sintetica definizione: algoritmo significa “qualunque schema o procedimento sistematico di calcolo”.
Wikipedia, l’enciclopedia collettiva online, lo dice in termini più filosofici: è un metodo per ottenere un certo risultato, per risolvere un certo tipo di problema, attraverso un numero finito di passi. Come dire che è la base di tutto.
Magari lo è sempre stato, ma una serie di coincidenze sembrano dirci che ora è venuto il suo momento.In un recente discorso alla TedGlobal Conference, convegno di cervelloni impegnati a scrutare il presente per predire il futuro, lo scienziato informatico Kevin Slavin ha sostenuto che siamo di fronte a un profondo mutamento: «La matematica sta vivendo una transizione dall’essere qualcosa che estraiamo e deriviamo dal mondo a qualcosa che comincia a modellare e decidere la forma del mondo».

Suona un po’ complicato? Allora provate a leggere il nuovo romanzo di Harris, il cui eroe non è un detective o un agente segreto o un giudice, bensì un creatore di programmi per computer che un giorno disegna un algoritmo in grado di prevedere i movimenti dei mercati finanziari – e di migliorarsi continuamente da solo.
Fantascienza? Pochi giorni fa il Sunday Times riportava la notizia che un hedge fund (fondo di investimento speculativo) britannico sta usando un nuovo algoritmo per analizzare il traffico su Twitter, il sito di social network, per predire l’andamento della Borsa.

E non è certo fantapolitica la notizia che il rating economico e finanziario delle nazioni, stabilito da agenzie come Standard & Poor’s, nasce da algoritmi che distillano i fattori-chiave, i fattori eccezionali e gli imprevisti: soltanto Silvio Berlusconi, a quanto pare, crede che sia solo colpa dei giornali.
«Viviamo in un Algo-World», in un Algo-Mondo, taglia corto il suddetto programmatore di sofware Slavin, affermando che c’è un algoritmo dietro tutto (o quasi) ciò che facciamo, dalle cose che compriamo al valore del denaro che spendiamo.
Beninteso, gli algoritmi esistono da un pezzo, e il professor Slavin ne è certamente consapevole.
Erano già presenti di fatto nella matematica babilonese, cinese e del Kerala; uno dei primi autori a farvi espressamente riferimento, e a dargli il suo nome, fu nel IX secolo dopo Cristo il matematico persiano Mohammed ibn Musa I-Kwarizmi (dal quale prende le origini anche la parola “algebra”).
Si sa che ha quattro proprietà fondamentali: la sequenza di istruzioni deve essere finita, deve portare a un risultato, deve essere eseguita materialmente, e deve essere espressa in modo non ambiguo.
In senso ampio, perciò, anche una ricetta di cucina o il libretto di istruzioni di una lavatrice sono algoritmi.
Ma è indubbio che ultimamente ne sentiamo parlare più spesso.

I programmi per computer sono fatti di algoritmi: basterebbe questo a spiegare perché viviamo in un Algo-World.
Ma una volta acceso il nostro computer, quale è una delle prime operazioni che facciamo? Andiamo su Google in cerca di qualcosa – qualunque cosa.
Ebbene, in poco più di un decennio Google è diventato una delle aziende più ricche del mondo per una sola ragione: ha algoritmi migliori della concorrenza.
Ma non è solo Google a usare gli algoritmi per rendere tutto più semplice (e per fare una barca di soldi).
Gli strateghi del marketing utilizzano algoritmi per guidare le loro campagne pubblicitarie.
Gli speculatori di hedge fund e di Borsa usano algoritmi per decidere dove investire i propri capitali.
Le linee aeree si servono di algoritmi per stabilire il costo più economico dei loro voli, ma non solo: il dottor Jason Steffen, uno studioso del Fermi National Accelerator Laboratory dell’Illinois, ha elaborato un algoritmo in grado di individuare la maniera più rapida ed efficiente per riempire di passeggeri un aereo (bisogna farli salire dalla porta posteriore, a file alternate, riempiendo prima i posti vicini ai finestrini su un lato dell’aereo e poi su un altro – facendo così l’intera procedura si conclude in 216 secondi anziché nei 414 del metodo convenzionale).
E ancora: iTunes usa algoritmi per costruire compilazioni di canzoni che stanno bene insieme.
Più di metà di tutti gli acquisti di film fatti online sono determinati da raccomandazioni algoritmiche.
Facebook usa algoritmi per capire chi ha più probabilità di diventare un “amico”.
I servizi segreti usano algoritmi per identificare possibili sospetti terroristi.
Transport for London, la società che sovrintende i trasporti nella metropolitana (3 milioni di passeggeri al giorno) e sui bus (4 milioni) di Londra usa algoritmi per stabilire l’itinerario più veloce per andare da un punto all’altro della città.
I semafori si accendono di verde, giallo e rosso al comando di algoritmi, per regolare il traffico nel modo più efficiente.
Le grandi catene di supermercati sfruttano algoritmi per decidere come distribuire i propri alimentari su tutto il territorio nazionale.
Ci sono algoritmi dietro i suggerimenti su dove andare a cena o a ballare o a fare shopping forniti dalle applicazioni del vostro iPhone.

Il problema è che il progresso tecnologico dell’ultimo decennio ha reso gli algoritmi sempre più complessi e dato loro un controllo sempre più grande sulla nostra vita di tutti i giorni, suscitando apprensioni su fino a che punto saremo in grado di seguire quello che fanno.
Proprio colui che annuncia l’avvento dell’Algo-Mondo, l’informatico Kevin Slavin, ammette con l’Evening Standard: «Scriviamo calcoli che non siamo più capaci di leggere».
Il campo in cui suscitano maggiore allarme è quello finanziario, dove tre quarti delle funzioni sono ormai operate da computer, non da umani: un trading che non a caso si chiama in gergo “blackbox” (scatola nera), perché vediamo cosa ci entra e cosa ne esce, ma il processo che si svolge durante la transazione resta invisibile.
La velocità a cui avvengono questi calcoli è un’altra fonte di interrogativi: una compagnia privata ha steso fra le Borse di New York e Chicago un cavo a fibre ottiche che trasmette segnali 37 volte più rapidi del clic di un mouse del computer.

E un’altra è la potenza: il servizio meteorologico britannico, anch’esso dipendente dagli algoritmi per le previsioni del tempo, adopera un supercomputer capace di un miliardo di calcoli al secondo.
La consolazione è che talvolta sbaglia lo stesso, predicendo una “estate da barbecue” quando invece ne arriva una di pioggia a dirotto: forse nessuno è infallibile, neppure un algoritmo.
E poi in Inghilterra conviene sempre portarsi dietro l’ombrello.
da enrico franceschini

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