sabato 26 novembre 2011

A colloquio con il Dalai Lama

Da quasi vent'anni il Dalai Lama, Leader spirituale dei tibetani, incontra periodicamente gli scienziati poiché ritiene molto utile il confronto e lo scambio di informazioni fra la scienza occidentale e la filosofia buddhista.


La mente e le emozioni tra religione e scienza
Intervista di Piergiorgio Odifreddi

Come dice lui stesso nell'introduzione alla sua autobiografia, La libertà nell'esilio (Sperling & Kupfer, 1998), il Dalai Lama è considerato in modi diversi da gente diversa. Per i buddhisti tantrici, è la reincarnazione di Avalokiteshvara, il Bodhisattva della Compassione. Per i tibetani, è il loro quattordicesimo e divino re. Per i cinesi, è un monarca feudale dal quale essi hanno liberato il Tibet. Per il resto del mondo, è il Premio Nobel per la pace del 1989. Per Tentzin Gyatso, il suo nome al secolo, è «semplicemente un essere umano, incidentalmente tibetano, che ha scelto di essere un monaco buddhista».

Quest'essere multiforme è divenuto in Occidente il simbolo del cammino non violento verso due liberazioni: quella politica del Tibet, e quella spirituale del buddhismo. Ci sono però anche aspetti meno noti della personalità del Dalai Lama: ad esempio, il suo interesse per la scienza, che non gli fa perdere occasione per confrontarsi con gli scienziati sul loro terreno. Abbiamo approfittato proprio di questo suo interesse per intervistarlo.

Santità, da una quindicina d'anni lei si incontra regolarmente con gli scienziati. Come mai?
«Le visioni della scienza sono molto utili per i buddhisti. E, allo stesso tempo, la concezione buddhista della realtà può offrire agli scienziati un nuovo punto di vista da cui osservare le cose».

Vogliamo fare qualche esempio concreto, partendo dalla fisica?

«Il buddhismo tibetano si interessa di come si è formato l'universo, della sua evoluzione, della sua dissoluzione. Secondo alcuni nostri testi, l'universo ha avuto origine da particelle di spazio. Come vede, ci sono punti di contatto con la teoria del Big Bang. Noi pensiamo anche che un oggetto sia costituito, in ultima analisi, di particelle sottili piccolissime. Qui c'è un comune campo d'indagine con la fisica quantistica, che si interessa anch'essa della sostanza più sottile».

E per quanto riguarda la neurobiologia?

«Il buddhismo offre una gran quantità di spiegazioni sulla mente, le emozioni, i pensieri, e sui diversi modi di modificarli e trasformarli. Il tantrismo ha sviluppato vari esercizi e tecniche di meditazione, che permettono di influenzare il corpo attraverso la mente».

Quale sarebbe lo scopo della meditazione?

«Attraverso la meditazione si può accrescere il livello di percezione della mente, e arrivare a capire fenomeni che solitamente non si possono percepire. Si perviene a quella che noi chiamiamo "mente sottile", che permette di vedere meglio le cose».

E che relazione c'è tra mente e materia?

«La scuola buddhista chiamata Mind only, solo mente, insegna che tutto è solo una sorta di creazione della mente. Ma c'è un'altra scuola, chiamata Madhyamika, che ritiene che ci sia una realtà esterna, indipendente dalla mente. Noi tibetani pensiamo che questa scuola sia più profonda».

Perché?

«Il nostro metro di giudizio è l'indagine, l'investigazione. Alcune spiegazioni della scuola Mind only appaiono molto belle, ma se le si analizzano a fondo portano a delle contraddizioni».

In altre parole, il metro di giudizio è la logica.

«Certo. Se io guardo qualcosa e non vedo bene il colore, cerco di osservarla con più luce. Poi chiedo ad altri di che colore sia. Se tutti mi dicono che è bianca, e io credevo fosse grigia, mi accorgo di aver sbagliato. Se invece la mia percezione concorda con quella altrui, viene convalidata. A volte, però, non possiamo basarci solo sulle percezioni dirette. Ad esempio, supponiamo che io le dica che ho qualcosa in tasca. Lei non può saperlo, deve fidarsi di me. Per capire se le mento o no, deve analizzare ciò che le dico e vedere se ci sono contraddizioni. Se non ne trova, può concludere che non ho motivi per mentirle, e mi crede».

La verità come assenza di contraddizioni: certo mi suona familiare! Che tipo di logica seguono i buddhisti tibetani?

«La logica indiana di Dignaga e Dharmakirti. Tutta la tradizione buddhista passa per l'India. E quella tibetana si fonda più sui testi sanscriti che su quelli pali. Le regole monastiche si derivano dai testi pali, specialmente il Vinaya. Ma tutto il resto, compresa la logica, deriva dai testi sanscriti. Dico sempre che il miglior buddhismo è quello della tradizione Nalanda, alla quale appartenevano non solo Dignaga e Dharmakirti, ma anche Nagarjuna».

Chi conosce Nagarjuna in Occidente trova molte somiglianze tra il suo pensiero e il decostruzionismo.

«L'idea è che tutti i fenomeni, sia quelli interni come il dolore, che quelli esterni come il colore, sembrano avere un'esistenza assoluta e indipendente. Se però andiamo ad analizzare a fondo, ci accorgiamo che non è così. Il che non significa negare l'esistenza. Le cose ci sono, ma hanno soltanto un'esistenza relativa e interdipendente».

Come nella matematica. Mi sembra che ci siano vari punti di contatto fra la logica buddhista e la logica matematica. Dovremmo approfondire il discorso, un giorno.

«Sarebbe molto utile fare uno studio comparato. In Oriente, nell'antichità, si facevano spesso questi studi comparati nel campo della logica. Paragonare la logica indiana antica, compresa quella buddhista, e la logica occidentale moderna sarebbe davvero molto interessante».

Speriamo di poterlo fare. Se non in questa vita, nella prossima. Anche se in questa sarebbe meglio.

«In questa vita dobbiamo prepararci al lavoro da fare nella prossima reincarnazione. Ci prepariamo, e poi si comincia!»

A proposito, le piacerebbe reincarnarsi in un computer, ora che l'Intelligenza Artificiale ritiene che le macchine possano avere una coscienza?

«Non mi sembra possibile, con i computer di oggi. Nel futuro, chissà. Se si creano le condizioni per avere le basi di una mente, allora sarebbe possibile. Ah, ah!».

Visto che lei viaggia molto, io le consiglierei di reincarnarsi in un computer portatile. Sarebbe più facile portarla in giro...

«Questo non mi piacerebbe. Non ci sarebbe nessuna libertà, nessuna indipendenza. Il mio segretario mi trasporterebbe, e gli dovrei sempre andare appresso. No, nessuna libertà!».

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