lunedì 19 dicembre 2011

Particella di Dio: al Cern c'è il fumo, non l'arrosto

C’è la particella di Dio. No, non ancora. Ma forse sì. Per adesso non c’è ma entro pochi mesi la troveremo (se c’è). “E’ come una tigre acquattata tra i cespugli”, scrive Barbara Gallavotti con una prosa alla Emilio Salgari / Sandokan / ennesima sigaretta. Ma che cosa sta succedendo nella comunicazione scientifica?

Murales Stranamente scientifico
Apparentemente stiamo attraversando un periodo di scoperte eccitanti. La particella di Dio, o meglio il Bosone di Higgs, è l’ultima breaking news dal mondo della fisica. Il 23 settembre era toccato ai neutrini più veloci della luce. Qualche mese prima i mesoni B avevano suggerito la spiegazione della prevalenza della materia sull’antimateria. C’è persino chi nella mappa della radiazione cosmica del Big Bang dice di aver riconosciuto l’impronta della collisione con un altro universo o la traccia dell’universo che ha preceduto il nostro. Di qui per “News Scientist” è breve il passo verso gli infiniti universi che vengono fuori anche dalle superstringhe.

Sì, ma di tutto questo che cosa rimane? Non si sa. Il che non è grave. La scienza è fatta prima di tutto di non so. Il grave è che ora i non so si annunciano alle conferenze stampa. E che i giornalisti, non potendo passare per ammazza-notizie, sparano i non so a piena pagina facendoli diventare forse sappiamo, presto sapremo, dicono che si saprà.

Intendiamoci. I gruppi che hanno presentato le loro breaking news sono seri. Stimiamo gli scienziati degli esperimenti OPERA (neutrini superveloci), ATLAS e CMS (Bosone di Higgs). Il dubbio è sappiano interagire con i mezzi di comunicazione di massa. E se i giornalisti di questi mezzi sappiano mettere i filtri critici che sempre dovrebbero vagliare qualsiasi notizia e a maggior ragione le notizie scientifiche.

Le responsabilità sono ben ripartite. Dopo tutto è stato un fisico premiato con il Nobel, Leon Lederman, a battezzare “particella di Dio” il bosone di Higgs. Un regalo ai giornalisti, come fu l’espressione Big Bang coniata da Hoyle, come il buco nero uscito dalla fervida mente di Wheeler. Purtroppo la compagnia non è sempre buona. Furono Pons e Fleischman a parlare di fusione fredda e Benveniste a inventarsi la memoria dell’acqua.

Prendiamo il caso più fresco. Le équipe degli esperimenti del Cern ATLAS e CMS il 13 dicembre in un affollato e ben preannunciato seminario ci hanno fatto sapere che la statistica degli eventi osservati è ormai sufficiente per dire che la particella di Higgs – se esiste – deve avere una massa compresa tra 116 e 130 GeV (ATLAS) e tra 115 e 127 GeV (CMS).

Già, ma la parola chiave è quel “se”. Il comunicato congiunto dei due esperimenti del Cern, infatti, non afferma l’effettiva scoperta della particella, pur dichiarando che esistono degli eventi indiziati.

Inoltre, “se esistono – ribadisce il comunicato ufficiale – i bosoni di Higgs hanno una vita molto breve e possono decadere di diversi modi. La loro scoperta consiste nell'osservazione delle particelle in cui l’Higgs decade piuttosto che sulla sua rivelazione. Sia ATLAS sia CMS hanno analizzato diversi canali (modi) di decadimento, e hanno potuto osservare piccoli eccessi di eventi nella regione di massa più bassa non ancora esclusa da precedenti misure o da altri esperimenti.

Presi singolarmente, nessuno di questi eccessi di eventi è statisticamente più significativo del risultato che si osserverebbe tirando un dado e ottenendo due sei di fila.”

"Non possiamo concludere nulla in questa fase – ha detto Fabiola Gianotti, portavoce di ATLAS – Abbiamo bisogno di analisi maggiori e di più dati. Considerando le eccezionali prestazioni di LHC, non sarà necessario aspettare a lungo per avere una quantità di dati sufficiente. Possiamo prevedere che il puzzle sarà risolto nel corso del 2012".

Perché allora indire il seminario e stampare un comunicato che a sua volta ha fatto stampare milioni di pagine di giornali di tutto il mondo? Forse per mettere il cappello su una scoperta non ancora fatta ma ritenuta imminente. Ma è corretto e opportuno comportarsi così? Sul corretto si può discutere e forse concludere per il no (anche se dobbiamo ammettere che nessuna affermazione fatta nel comunicato e al seminario è meno che corretta). Sull’opportuno temo che la risposta sia sì, ma la cosa non deve farci piacere. Intorno al Bosone di Higgs si è creata una enorme aspettativa. Il Large Hadron Collider (LHC), la macchina che lo sta cercando, è costato alcuni miliardi di euro. D’accordo, fa anche altre cose, ma la gente si aspetta che trovi la particella di Dio. In più, non sia mai che la preda la catturi qualcun altro. Publish or perish. E allora gettiamo qualcosa in pasto all’opinione pubblica.

Al pari di tutte le altre, le notizie scientifiche non sono prive di rischi, e lo sa bene l’ex ministro Mariastella Gelmini, che nel “tunnel dei neutrini” ha avuto un brutto incidente non coperto da assicurazione. Ora non resta che stare ancora di più con il fiato sul collo sia addosso ai fisici di OPERA sia di ATLAS e CMS. Il che, mettendo fretta a chi dovrebbe procedere con piedi di piombo, non è detto che faccia bene alla scienza.

Ricordo perfettamente come fu comunicata la scoperta dei bosoni W e Z di Carlo Rubbia. Anche lì non c’era una grande statistica. Anche lì c’era fretta. Anche lì, publish or perish. Però il consenso intorno ai dati era più forte e non si poteva scherzare perché a mettere il fiato sul collo non c’era l’opinione pubblica ma un altro esperimento internazionale – UA2, anch’esso al Cern ma guidato dal francese Darriulat – in diretta concorrenza con UA1 di Rubbia. Guai a sbagliare.

Ora le cose vanno diversamente. La fisica ha paura di finire in un tunnel che non è quello dei neutrini sognato dalla Gelmini. E’ un tunnel cieco.

Eppure sarebbe ancora più bello – mi disse Luciano Maiani – se il Bosone di Higgs non ci fosse, perché bisognerebbe inventare qualcosa di nuovo. Invece si fa tanto clamore intorno a due sei di fila che escono gettando un dado. Non sarebbe meglio avere prima una scala reale?

Poi non lamentiamoci se i soliti sociologi, per esempio quelli di Observa Science” (Padova e Trento) inventori di un minotauro inesistente come la “tecnoscienza”, continuano da dieci anni a domandarsi “come la scienza è percepita dai cittadini”. Quando incominceranno a porsi tre domande da cento pistole ciascuna: che cosa sanno i giornalisti di scienza, che cosa ne sanno gli italiani, perché ne sanno così poco?

Di Piero Bianucci

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