domenica 29 gennaio 2012

Il futuro in un’equazione

Grazie a modelli matematici si possono prevedere i comportamenti dei cittadini. Elaborando che cosa si dicono su Facebook e Twitter. Un progetto che sarebbe piaciuto ad Asimov. Oggi ci lavora la Cia. Ma non solo.

Vision of the future
Della “psicostoria”, l’Enciclopedia Galattica scrive: «Quella branca della matematica che studia le reazioni di un agglomerato umano a determinati stimoli sociali ed economici». In altre parole, la disciplina che consente di trasformare il futuro in un’equazione.
Fantascienza, ispirata dal “Ciclo delle Fondazioni” di Isaac Asimov, la saga che ha reso immortale lo scrittore statunitense di origine russa. Ma non solo. Si moltiplicano infatti i progetti di ricerca milionari che mirano a dimostrare che la fantasia è pronta per diventare realtà. Se così fosse, la primavera araba, movimenti come Occupy Wall Street, l’insorgere di un’epidemia o lo scoppio di una crisi economica diventerebbero eventi prevedibili. Possibile?
A detta di diversi studiosi, ci siamo quasi. E se lo strumento è un misto di statistica, informatica e computer science applicato allo studio del comportamento umano che va sotto il nome di “scienze sociali computazionali”, a fornire l’ingrediente decisivo sono i social media. Milioni di status update, tweet e post su blog che si trasformano, masticate e digerite tramite algoritmi da supercomputer, in informazioni utili a misurare le reazioni dell’opinione pubblica in tempo reale. O addirittura a guardare nel futuro. Il Web 2.0 come una sfera di cristallo? La Cia non ha dubbi. E, lo ha rivelato ‘Associated Press, se ne è servita in segreto ripetutamente. Per esempio, per sondare le condizioni dell’accesso al Web in Cina e per capire come è stata accolta l’uccisione di Osama Bin Laden. I “cinguettii” monitorati dalle centinaia di 007 Usa appositamente arruolati in Virginia e nelle ambasciate di tutto il mondo sono 5 milioni al giorno. Sul versante militare, la Difesa ha stanziato 28 milioni di dollari per il solo 2011 per rifornire l’esercito, attraverso il programma chiamato Icews, di tecnologia capace di anticipare il corso di crisi che possono sfociare in conflitti. Così da elaborare risposte prima ancora che si verifichino. «Un vantaggio assoluto», scrive il governo, sui «futuri nemici». L’intelligence a stelle e strisce non si è accontentata.
È ancora aperto infatti il bando, cui hanno partecipato in circa 5 mila, per realizzare il progetto di ricerca denominato Open Source Indicators (Osi). Sponsorizzato dallo Iarpa, cioè l’intelligence Advanced Research Projects Activity, si propone di «sviluppare metodi per l’analisi continua e automatica di dati disponibili al pubblico così da anticipare e/o scoprire sconvolgimenti sociali». Durata tre anni, unica condizione non riguardi fenomeni entro i confini statunitensi, Osi ha visto partecipare alcuni centri di eccellenza. Come quello per l’Intelligenza Collettiva del Mit di Boston. «Studieremo l’America Latina», dice a “l’Espresso” Peter Gloor, ricercatore dell’istituto, «per predire la nascita di movimenti sociali». Per Gloor, che dice di essere già in grado di predire «quali siano i politici più amati o se i tedeschi vogliano o meno salvare la Grecia», c’è una soglia minima: sotto le 500 mila persone, impossibile azzardare profezie.
Del resto, lo scriveva anche Asimov:«L’agglomerato umano deve essere sufficientemente grande da consentire valide elaborazioni statistiche». Ma per i fenomeni di massa funzionerà? «Solo se chi condivide contenuti è onesto. Cioè se scrivono una cosa e poi la fanno», risponde Gloor. Altrimenti il metodo diventa inapplicabile. Kalev Leetaru, computer scienrist dell’Università dell’Illinois, ha recentemente pubblicato uno studio in cui afferma che, attraverso un’analisi automatizzata del • tono (positivo o negativo) dei messaggi scambiati sui social media, sarebbe stato possibile predire lo scoppio delle rivolte in Egitto e Tunisia. Ma anche che le proteste non avrebbero attecchito a sufficienza in Arabia Saudita. Incrociando i dati geolocalizzati ricavati da quella che chiama «sentiment mining» (estrazione automatica di sentimenti), Leetaru afferma che sarebbe stato possibile localizzare il nascondiglio di Bin Laden all’interno di un raggio di 200 chilometri tra Abbottabad e Peshawar, in Pakistan. E dunque non in Afghanistan, come hanno a lungo creduto le autorità Usa. Per Leetaru, che ora lavora per rendere predittivo uno studio tutto attualmente basato sulla comprensione di eventi passati, «il problema del programma Osi è il suo essere ancorato all’idea di predire eventi singoli». Del resto, spiega, il criterio di selezione «enfatizza specificatamente la capacità di predire una singola rivolta in un certo giorno in una certa città o periferia». Ma, argomenta Leetaru, «nemmeno la psicostoria di Asimov opera a quel livello di dettaglio». Finora i risultati forniti da Icews lasciano a desiderare. «Già nel 2006 uno studio affermava allo stesso tempo l’affidabilità del programma nel 92 per cento dei casi, e il fatto che in tre casi su quattro si trattasse di falsi allarmi», dice lo scienziato.
Così che le predizioni prodotte risultano corrette solo nel 30 per cento delle situazioni. Troppo poco per farne un qualunque uso militare. Ma se funzionassero, non ci sarebbe il rischio di dotare i regimi autoritari di un potente strumento per reprimere i dissidenti ancora prima che si organizzino per assestare un colpo? Per Gloor il problema sussiste, ma è evitabile. Perché se fossero a conoscenza di tali progetti, i rivoltosi inventerebbero «strategie di occultamento del pensiero». Insomma, una volta scoperto di essere soggetti sperimentali, gli individui adeguerebbero le loro reazioni per trarre in inganno i regimi. Non a caso Asimov scriveva: «Un ulteriore assunto è che la comunità esaminata deve essere, essa stessa, all’oscuro dell’analisi psicostorica affinchè le sue reazioni siano assolutamente istintive». C’è poi un ulteriore pericolo: le analisi potrebbero finire per sovrastimare il pensiero della «élite urbana», dice il direttore dell’Open Source Center della Cia, Doug Naquin. E cioè di quella fascia della popolazione che fa uso delle reti sociali. Un metodo per aggirare il problema è ricorrere a simulazioni che ricreino il fenomeno in esame in un ambiente virtuale. Al suo interno si studiano le azioni degli agenti, ciascuno dotato di una sua intelligenza artificiale. Se il fenomeno cercato si produce nel mondo simulato, allora potrebbe spiegarne il verificarsi in quello reale. A questo modo, il ricercatore Joshua Epstein è riuscito a predire la localizzazione di insediamenti sconosciuti di una popolazione scomparsa nel 1400. «La tendenza è a unire le analisi basate sui dati ricavati da social media, giornali e altre fonti di informazione con il metodo simulativo», spiega Nicola Lettieri, docente di informatica giuridica e scienze sociali computazionali. E ricercatore all’interno del progetto Futurlct, che si propone di unire scienza della complessità, ” big data ” e analisi sociologica per ottenere modelli predittivi del comportamento umano. In ballo ci sono ben 2 miliardi di euro, 100 milioni l’anno per dieci anni ai due progetti vincitori, messi a disposizione dall’Unione europea per studi «espressamente visionari». In altre parole, psicostorici.

Un'altra visione del futuro
Le Emozioni al microscopio
Come si trasformano milioni di tweet, post su blog e Facebook, ricerche in Rete e articoli di giornale in una predizione automatizzata di fenomeni di massa? Una risposta viene dall’approccio “Culturomics 2.0″ utilizzato da Kalev Leetaru. Il ricercatore ha compilato una lista di termini emotivamente connotati (“terribile”, “orrendo’, “buono”, “bello”) e l’ha sottoposta a un algoritmo che, passando in rassegna l’enorme quantità di fonti di informazione, restituisce un’analisi del “tono” in essi contenuto. Inoltre, il programma usato da Leetaru estrapola automaticamente termini che fanno riferimento a luoghi, trasformandoli in coordinate geografiche (longitudine e latitudine). Incrociando i due metodi, Leetaru ha ottenuto dei grafici che mostrano per esempio come in Egitto il “tono” delle conversazioni, se analizzato in tempo reale, avrebbe consentito di predire lo scoppio della rivolta che ha portato alla fine di Hosni Mubarak. Nel 2011, infatti, per l’ex presidente si è registrato il valore più basso degli ultimi 30 anni.

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