mercoledì 16 maggio 2012

C'è un'altra vita nell'universo? Questione di bit

Un studio delinea le caratteristiche che dovrebbe avere una forma di vita extraterrestre perché noi possiamo riconoscerla in quanto tale. Potrebbe avere origine da altre forme biologiche - in grado di autoriprodursi e trasmettere bit d'informazione alla progenie - oppure scaturire da una chimica diversa. In entrambi i casi, le probabilità di scoperta sono limitate dalla conoscenza di un'unica forma di vita: la nostra.

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Dopo tutto, la vita è uno scambio d'informazioni, bit.

Che cosa s'intende realmente quando si parla di “vita nell'universo”? E quale probabilità abbiamo di scoprirne nuove forme? Sono questi gli interrogativi alla base di un articolo apparso sulla rivista “PLoS Biology” a firma di Gerald Joyce, dello Scripps Research Institute di La Jolla in California.Grazie ai progressi delle tecniche di osservazione astronomica, negli ultimi anni si sono moltiplicate le scoperte di pianeti extrasolari, alcuni dei quali sono stati classificati come orbitanti in “zone di abitabilità”, cioè a una distanza dalla loro stella che rende le temperature favorevoli allo sviluppo della vita, o come pianeti “di tipo terrestre”, in cui le condizioni sarebbero ancora più simili a quelle del nostro pianeta. Questo ha portato molti, tra gli scienziati come nel grande pubblico, a ritenere più vicina la scoperta di forme biologiche aliene, o almeno più concreta la possibilità di verificare in modo sperimentale alcune ipotesi.
Ma quante sono le reali probabilità che un pianeta roccioso dal clima temperato generi forme viventi? “La vita si autoriproduce, trasmette informazione ereditabile alla progenie e segue le leggi dell'evoluzione darwiniana basata sulla selezione naturale”, scrive Joyce, elencando le caratteristiche fondamentali della vita come la conosciamo.
Se però si vuole uscire da questo schema per concepire la possibilità di forme alternative, occorre approdare a un concetto più astratto, considerando la trasmissione tra le generazioni di bit d’informazione ereditabile e l’origine di questo processo.
Secondo Joyce, una nuova forma vivente può emergere in due modi: da una già esistente oppure da una chimica di base. In questo secondocaso, una forma di vita si autorganizzerebbe in un “sistema in grado di generare bit”, così come è avvenuto sulla Terra, in cui da una zuppa primordiale di composti chimici in un ambiente acquoso si formarono molecole autoreplicanti che poi mutarono ed evolsero.
A questo punto, si pone un’altra domanda: qual è il numero minimo di bit necessari per dare origine all’ereditabilità e alla possibilità di accrescere il pool di bit disponibili? Dipende dalla natura del sistema che evolve e dall’ambiente in cui è inserito.
Per verificare sperimentalmente queste ipotesi, il laboratorio di Joyce recentemente ha realizzato e descritto un sistema chimico non biologico che evolve secondo le leggi darwiniane in modo autosostenuto (ovvero: tutti i bit d’informazione necessari all’evoluzione sono parte del sistema che evolve).
C'è un'altra vita nell'universo? Questione di bit

Si tratta di coppie di enzimi a RNA, in cui ogni membro di una coppia sintetizza la sintesi dell’altro legando tra loro coppie di substrati oligonucleotidici: poiché ciascuno di questi elementi può adottare migliaia di diverse composizioni potenziali, il loro legame può dare vita a milioni di combinazioni differenti. A loro volta, queste combinazioni possono autoreplicarsi e trasmettere informazioni alla propria progenie. Le varianti che si replicano in modo più efficiente dominano la popolazione finché non nascono nuove e più vantaggiose varianti che soppiantano i predecessori in una battaglia darwiniana senza fine per la sopravvivenza.
La popolazione di enzimi a RNA costituisce un sistema genetico di sintesi ma non è una nuova forma di vita, sottolinea Joyce: essa infatti evolve sulla base di 84 bit totali solo un quarto circa dei quali rappresenta la sua “memoria molecolare” mentre i bit restanti – la maggioranza – sono presi a prestito. Potrebbe essere quindi questo rapporto a definire la “vera” vita: un rapporto almeno 50-50 tra i bit ereditabili e quelli richiesti per una piena funzionalità del sistema.
"Io penso che gli esseri umani si sentano soli, e desiderino altre forme viventi nell'universo," conclude Joyce, "ma il desiderio non basta. Forse la prima vera alternativa alla biologia terrestre sarà scoperta in un pianeta extraterrestre o in una roccia marziana. Più probabilmente, sarà il prodotto di una specie intelligente che ha scoperto i principi dell'evoluzione darwiniana e imparato a progettare sistemi chimici capaci di generare autonomamente bit". Una specie, insomma, come la specie umana.

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