martedì 19 giugno 2012

L'uomo del Grano

L'aumento di produzione del frumento registrata nei primi decenni del Novecento è stato reso possibile grazie a concimi, meccanizzazione e miglioramento genetico. Uno dei principali protagonisti di queste innovazioni è stato il genetista Nazareno Strampelli, che grazie a incroci di diverse varietà ha permesso all'Italia di aumentare notevolmente la produzione di grano senza quasi aumentare la superficie coltivata.


Credo che la colonna sonora adatta a questo articolo sia Sicilienne di Gabriel Fauré



Egli assomigliava vagamente al Signor Strampelli.
[...] Nel momento in cui il frumento passò da selvatico a domestico, la pianta acquistò due peculiarità: al rachide fragile che permetteva la dispersione dei semi si sostituì quello duro, e la cariosside perse la protezione naturale delle glume: da vestita divenne nuda. Nuda e del tutto dipendente dall'uomo. Il patto tra uomo e grano è stato sancito allora, e da allora la pianta ha sviluppato nuove utili caratteri agronomici, nuovi percorsi evolutivi: i semi si ingrandirono, il rachide che tiene insieme i chicchi diventò ancora più robusto, così si poteva cogliere non il singolo chicco, ma la spiga. E ancora i nostri antichi coltivatori, forti del patto con la pianta e più spregiudicati degli attuali genetisti, selezionarono piante con semi non dormienti, quelle con germinazione rapida e uniforme. Piante erette, cariossidi più grandi, numero maggiore di spighette per spiga. [...] Piante con maggiore produttività, foglie a portamento verticale, altezza ridotta, piante con maggiore risposta a fertilizzanti e fitofarmaci. Piante con maggiore resistenza a malattie e insetti, resistenza all'allettamento, cioè il ripiegamento fino a terra in seguito di vento o pioggia. Piante migliorate per qualità panificatorie e pastificatorie.
Centinaia di modificazioni genetiche, eppure incredibilmente, visti i miglioramenti apportati alla pianta, per millenni la resa media dei cereali (frumento tenero e duro) rimase invariata, stabile attorno alla tonnellata per ettaro. Questo vuol dire che un contadino della fine dell'800 e uno dell'epoca romana ottenevano la stessa resa media. La produzione aumentò solo nei primi decenni del Novecento. Concimi, meccanizzazione e miglioramento genetico. Qui la storia necessita di una digressione, bisogna parlare di Nazareno Strampelli, l'uomo del grano (come recitava anche il titolo di un film del 2009 a lui dedicato), tra i più geniali, e ancora sconosciuti (fatto salvo gli addetti ai lavori) genetisti del secolo.
Per introdurre Strampelli, un piccolo prologo: dobbiamo partire dalla complessità. Dieci mila anni di storia evolutiva hanno prodotto una pianta con un patrimonio genetico molto complesso. Ogni gene è presente in più copie. [...] Non solo, il grano tenero ha un abbondante numero di geni: 150.000 (non tutti funzionanti, naturalmente). La specie umana, giusto per offrire un metodo di paragone, conta un numero di geni che varia da 31.780 a 39.114. Il grano, dunque, è una pianta con un'incredibile varietà genetica.
Qui, davanti a questa affascinante duttilità del grano, inizia la storia di Strampelli. Scena: Italia, 1900. Campi di grano che ondulavano al vento. Zoommata su una varietà di grano piuttosto alta, il Rieti. Si trattava di un frumento autoctono, coltivato da tempo immemorabile nel capoluogo sabino. Molto apprezzato, e dunque capace di spuntare un buon prezzo sul mercato, nel 1879 era venduto a 50 lire il quintale, contro le 24-32 lire degli altri grani. Il Rieti aveva il grosso pregio di resistere a una malattia fungina, la ruggine, ma aveva il difetto di essere soggetto all'allettamento.
All'epoca -le leggi di Mendel non erano state ancora riscoperte- i genetisti coscienti della variabilità del grano selezionavano le varietà solo all'interno della popolazione. La teoria in voga si chiamava "selezionismo", ovvero ogni anno all'interno della popolazione della varietà Rieti si sceglievamo le piante migliore per le caratteristiche desiderate. Una tecnica di miglioramento lenta e difficile, e spesso inefficace. Strampelli ebbe invece un'intuizione: è necessario, disse, ricorrere all'ibridazione, solo così possiamo sperare di trasferire caratteri utili da una specie all'altra.
[...] Strampelli realizzò un migliaio di incroci, e nel 1914 vide nascere la sua prima varietà, Carlotta Strampelli  (ottenuta da un incrocio realizzato nel 1905) che resisteva alla ruggine, al freddo e all'allettamento. Nel 1918, quando ormai la Carlotta Strampelli era coltivata in molte regioni italiane si manifestò, però, un problema. Si sa, in pieno campo alcune variabili vengono alla luce: la pianta risultò suscettibile alle alte temperature tardive, quelle ciò che si verificano in corrispondenza della fase di granagione. La produttività si abbassò e su Strampelli cominciarono a piovere critiche del tipo: l'avevo detto io che gli incroci erano pericolosi. Ma il nostro agronomo sapeva valutare i miglioramenti ottenuti e affrontare gli imprevisti, così, invece di fermarsi, continuò a incrociare, cercando di risolvere il problema. Bisognava trovare varietà che anticipassero l'epoca di spigatura e di maturazione. Questo punto della storia vede l'ingresso in campo di un famoso sementiere dell'epoca, l'ingegner Ingegnoli. Fu lui a portare in Italia una varietà giapponese, L'Akagomughi, molto precoce ma per niente produttiva.
Strampelli incominciò a utilizzarla, così dopo una seria di incroci ottenne l'Ardito. La cultivar ebbe grande successo; maturava 15-20 giorni prima del Rieti, era alto 80-100 centimetri, resisteva al freddo e alla ruggine ed era molto produttivo. [...] Fu grazie all'Ardito, e agli altri grani di Strampelli, in particolare la varietà San Pastore, molto produttiva, che il regime fascista, in quella che fu chiamata retoricamente "la battaglia del grano", riuscì ad aumentare la produzione italiana di frumento dai 44 milioni di quintali prodotti nel 1922 agli 80 milioni del 1933, senza quasi aumentare la superficie coltivata. Certe, diverte pensare che negli anni in cui il ruralismo italico era più forte e Mussolini proclamava la purezza della "razza", quella stessa "razza" si sfamava (per modo di dire) grazie a un grano contaminato; bastardo, insomma.

Questa parte della storia riguarda il grano tenero. C'è un capitolo anche sul grano duro. Altro capitolo si, ma stesso procedimento. Strampelli selezionò entro la specie, incrociò grani duri autoctoni del sud d'Italia e delle isole con quelli provenienti da altri paesi del Mediterraneo.
[...] Strampelli non ha lasciato molte pubblicazioni. Il libro che meglio illustra la grande mole di lavoro da lui è Origine, sviluppi, lavori e risultati, edito nel 1932 dall'Istituto Sperimentale per la Cerialicoltura di Roma: "Le mie pubblicazioni, quelle a cui veramente tengo, sono i miei grani (...) ad essi resta affidata l'opera mia nell'interesse de mio paese".
Dario Bressanini sul blog ha ricordato che "Strampelli non si arricchì mai con i suoi frumenti, scegliendo di non chiedere royalties per lo sfruttamento commerciale dei semi da lui distribuiti". E ancora: "E' curioso che il grano Cappelli, ora diventato un simbolo della "pasta da gourmet", fosse una volta il comune grano della pasta di tutti i giorni, e che venga da alcuni considerato autoctono quando in realtà è una varietà tunisina. Per non parlare degli altri grani di Strampelli che tutto sono fuorchè autoctoni."
Scorre sangue (pardon, DNA) straniero nei grani d'Italia.

Le Scienze, Maggio 2012
di Antonio Pascale

Nessun commento:

Posta un commento