giovedì 1 novembre 2012

L'inefficacia delle minacce

Stando ai dati raccolti nelle ultime tre settimane e confrontandoli con quelli ottenuti da delle sperimentazioni ufficiali effettuate con dei bambini, la conclusione è bella e brutta allo stesso tempo. Le minacce sono inutili, soprattutto a lungo termine.


Nel settore educativo, si nota spesso come la disperazione del non saper gestire una classe sfocia nelle minacce.
La brutta notizia consiste nella difficoltà di cambiare questa tecnica obsoleta per generare ordine. Oggi, tramite le minacce, non si ottiene un clima sereno e fruibile. Il risultato è un temporaneo astenersi dal fare rumore, parlare, distrarsi, e così via.

Jonathan Freedman fece un esperimento in questo senso cercando di impedire a dei bambini di giocare con un robottino. Con un gruppo di 22 bambini li sottopose prima a una minaccia per testare l’obbedienza temporanea. Da lì a poco 21 bambini su 22 , lasciati soli, non toccavano il giocattolo. Però dopo sei settimane i bambini presi singolarmente e portati in una stanza con 5 giocattoli, vennero sottoposti a una prova di disegno e poi li si faceva giocare con i giocattoli. Il 77% sceglieva proprio il robottino proibito. Con un altro gruppo di 22 bambini (sempre maschi della stessa età) lo sperimentatore non li sottoponeva a minaccia e prima di lasciare la stanza diceva che “non va bene giocare con il robot”. Anche in questo caso solo 1 toccò il giocattolo. Sei settimane dopo mentre l’assistente correggeva il test di disegno i bambini venivano lasciati liberi di giocare. Questa volta benché gli altri giochi fossero più brutti o incompleti solo il 33% usò il robot.

Nel primo caso la grave minaccia era efficace finché c’era il rischio di essere colti ad usarlo, e cioè equivaleva a dire che non era sbagliato giocare con il robot ma solo imprudente fin tanto che c’era il pericolo.

Nel secondo caso i bambini erano portati a pensare che non volessero loro stessi giocare con il robot, altrimenti tale comportamento non era spiegato da punizioni.

I vantaggi arrecati dal persuadere le persone attraverso un cambiamento interno sono molti: gli effetti sono durevoli e si possono estendere anche a molte situazioni affini. Inoltre l’impegno si regge da solo senza dispendio ulteriore di energie perché è sufficiente il bisogno di coerenza. La persona persuasa si auto alimenterà di quelle informazioni che gli serviranno per mantenere solido il nuovo punto di vista. In questo modo anche se le ragioni iniziali spariscono, ci saranno sempre le nuove ragioni a continuare a mantenere la coerenza.

Queste tecniche a seconda di chi le opera possono essere utilizzate per il male o per il bene.

 Uno dei problemi eterni della pedagogia è quello del rapporto tra autorità e libertà. Da una parte v’è chi pensa che il bambino (o il ragazzo) lasciato a sé, si abbandonerebbe alle proprie tendenze negative, per cui è necessario l’intervento correttivo dell’adulto; dall’altra si obietta che è l’autorità a deviare il naturale svolgimento delle facoltà del bambino, che solo nella libertà possono svilupparsi in modo armonico. Dal punto di vista di Montessori questa è una falsa alternativa. Gli educatori autoritari impongono un ordine ed una disciplina che sono inevitabilmente falsi, perché legati solo alla paura ed all’imposizione dell’adulto. Quando questi limiti vengono eliminati da un approccio libertario si ha, nota Montessori, “uno scatenamento disordinato di impulsi non più controllati perché erano stati prima controllati soltanto dalla volontà degli adulti”. Questa non è vera libertà, e non favorisce la crescita del bambino.

Nella Casa dei bambini avviene qualcosa di diverso. Regna una disciplina che tuttavia non ha alcun bisogno del ricorso all’autorità. Come è possibile? Grazie al lavoro. I bambini sono chiassosi, disordinati, distratti, capricciosi, pigri se non hanno qualcosa da fare; qualcosa, s’intende, che sia importante per loro. Nella Casa trovano molte attività interessanti da fare e si concentrano facilmente nel lavoro. Il bambino viene così disciplinato non dall’intervento autoritario della maestra, ma dall’ambiente stesso, che non gli consente di distrarsi perché ad ogni passo esige la sua attenzione.

Montessori chiama normalizzazione questa riconquista delle sue qualità positive da parte del bambino. Il bambino disciplinato, che lavora e si concentra (e si apre all’altro, diventando socievole ed altruista), è null’altro che il bambino vero, il bambino normale. Deviato è invece il bambino che le tendenze disgregatrici e diseducative dovute all’ambiente esterno ed all’intervento dell’adulto costringono ad una fuga nella fantasia. E’ un bambino spezzato, perché non gli si consente di incarnare l’intelligenza nell’azione, esprimendosi attraverso il movimento e facendo esperienze concrete; non gli resta dunque che la via dell’immaginazione.

La Casa dei bambini si configura dunque come un luogo di guarigione. “Si direbbe - conclude Montessori ne La mente del bambino - che i bambini fanno esercizi di vita spirituale, avendo trovato una via di perfezionamento e di ascesa.”

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